La rivoluzione green inizia dalle parole. E’ l’ora dell’eco ottimismo.
Con la sua rubrica “L’Ecottimista” il giornalista Antonio Cianciullo, uno dei più autorevoli e storici osservatori del mondo dell’informazione ambientale, avvia la sua collaborazione con La Stampa-Tuttogreen.
Ecottimista. Qualche ambientalista storcerà il naso sentendo questa parola, perché per decenni il verbo ecologico è stato declinato soprattutto in negativo. L’elenco delle catastrofi è lungo e appassionato, quello dei rimedi breve e freddo. L’indice dei danni è articolato e preciso, quello dei possibili benefici vago e ristretto. La paura è ben alimentata, la speranza sta a stecchetto.
Era inevitabile, perché la coscienza ambientale nasce dagli squilibri che abbiamo prodotto negli ecosistemi e dallo stupore per la scarsa capacità di autocorrezione di una specie che si è attribuita la patente di sapiens. Nel 1962, quando Rachel Carson ha pubblicato Primavera silenziosa, sarebbe stato logico attendersi una rapida sterzata: di fronte alla documentata analisi del disastro prodotto dall’uso massiccio del DDT e dei pesticidi si poteva cambiare rapidamente la strategia agricola. Non è avvenuto: solo ora, a più di mezzo secolo di distanza, la Fao e l’Unione europea stanno dando segnali che portano in direzione di un radicale cambiamento di rotta. Ma nel frattempo ci siamo giocati una bella parte della biodiversità.
E lo stesso schema si è ripetuto nei vari campi. Fino a culminare nella battaglia per la sicurezza climatica. Nonostante quarant’anni di avvertimenti di parte degli scienziati, continuiamo a bruciare combustibili fossili e a deforestare a un ritmo che, in assenza di un rapido cambio di passo, ci porterà a un aumento di temperatura di più di tre gradi rispetto all’inizio della rivoluzione industriale: una crescita che è oltre il doppio di quella considerata accettabile dall’accordo di Parigi del 2015.
E’ una situazione che ha un orizzonte di danno ben più ampio di quello di una pandemia. Possiamo sperare che covid-19 esaurisca presto la sua aggressività e sappiamo che i tempi medi di un’epidemia sono relativamente brevi, è come un’onda violenta che passa. Gli squilibri climatici invece modificano per secoli o millenni gli ecosistemi su cui si basa la nostra sopravvivenza.
Dunque i dati sembrano dar torto al titolo di questa rubrica. Nel rapido spazio temporale che separa l’anno in cui è stata firmata l’Agenda Onu per la sostenibilità (il 2015) e la data in cui gli obiettivi indicati vanno raggiunti (2030), al ritmo attuale si otterrebbe questa situazione. Nell’atmosfera 45 parti per milione di CO2 in più (erano 280 all’inizio dell’era industriale e stiamo già avendo seri problemi per aver superato quota 410). A tavola un altro miliardo di persone, cioè l’equivalente della popolazione umana all’inizio del diciannovesimo secolo. Nelle foreste una riduzione di 180 milioni di ettari, sei volte la superficie dell’Italia. Cento milioni di morti per inquinamento atmosferico, dieci volte più dei militari caduti nella prima guerra mondiale.
I numeri non disegnano un futuro incoraggiante. Eppure – nonostante il continuo lavorio delle lobby della vecchia economia per convincerci che si stava meglio quando si stava peggio, all’epoca del dominio incontrastato dei fossili – negli ultimi 12 mesi si sono moltiplicati i segnali di un cambiamento profondo.
I millennials si sono presi le strade in oltre cento Paesi per rivendicare il diritto a un futuro non rovente. Le alternative low carbon per le nostre città sono state rese ancora più concrete e urgenti dal colpo di spugna della pandemia che ha bloccato il vecchio corso delle cose. La Banca europea degli investimenti ha annunciato che dal 2021 smetterà di dare i soldi a chi investe sui combustibili fossili. Continuano a crescere le città e le regioni che adottano obiettivi mirati alla salvaguardia climatica e ambientale.
Un cambiamento radicale in direzione di una transizione ecologica solidale, cioè capace di creare un larghissimo consenso, non è solo possibile ma è l’unica opzione che tiene assieme la cura dei mali che ci affliggono (danni ambientali, dissesto economico, squilibri sociali).
Per dargli la spinta necessaria occorre cominciare dalle parole. Ad esempio finché continueremo a parlare di tasse ambientali avremo poche possibilità di farcela. Il messaggio è esattamente opposto: le imposte vanno abbassate e per farlo occorre farle pagarle a quelli che le evadono. Cioè anche a chi ricava profitti dalla propria attività scaricando i costi sulla collettività. Secondo i calcoli delle Nazioni Unite la somma degli incentivi ai combustibili fossili e dei danni causati dal loro uso supera i 5mila miliardi di dollari. C’è ampio margine per sostenere una riconversione green.
Essere ecottimisti non vuol dire sottovalutare i rischi gravissimi che abbiamo di fronte, ma vedere nella questione ambientale la chiave per risolverli. E raccontare, assieme alla coda dei disastri causati dal ventesimo secolo, le storie di chi sta dando forza al cambiamento che è già iniziato.
FONTE: La Stampa – articolo di ANTONIO CIANCIULLO PUBBLICATO IL 05 Giugno 2020